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OLTRE L’OSTACOLO
In Italia si contano oltre 1 milione di poveri assoluti in più rispetto al prepandemia, arrivando al valore record di persone in stato di povertà assoluta, 5,6 milioni (pari a 2 milioni di nuclei familiari).
L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%), anche se la crescita più ampia, registrata da un anno all’altro, si colloca nelle regioni del Nord (dal 5,8% al 7,6%).

Dal Rapporto povertà 2021

Arcidiocesi Sassari

Con l’inizio del periodo spagnolo le diocesi suffraganee di Ploaghe e di Sorres furono unite a quella di Sassari. Le unioni decretate da Giulio Il (1503) non ebbero immediata attuazione, perché il papa aveva stabilito che essa avvenisse alla vacanza delle sedi interessate. Ciò si verificò rispettivamente nel 1523 e nel 1505. A cavallo del XVI sec. occupa una singolare importanza il presule Salvatore Alepus (1524-1566): si impegnò per la riforma della vita del clero e del popolo; partecipò alla prima e seconda sessione del concilio di Trento e vi si distinse per cultura e preparazione teologica, intervenendo su alcuni aspetti della dottrina eucaristica. Di lui si conservano alcuni verbali di visite pastorali, svolte nel 1553 e 1556, nonché diverse costituzioni sinodali attraverso le quali il presule intende riformare la vita del clero e obbligare i parroci a curare l’istruzione religiosa del popolo; per facilitarne il compito fece comporre un Libellus doctrinæ cristianæ in hidiomate sardo, del quale purtroppo non ci è pervenuto alcun esemplare. Nelle stesse costituzioni stabilì di voler riprendere l’antica consuetudine che vincolava i vescovi suffraganei della provincia turritana a intervenire alle feste di San Gavino presso la basilica di Turris e a partecipare ai relativi sinodi. Questi timidi tentativi di riforma furono accompagnati da ulteriori fattori che avviarono un serio cambiamento della vita diocesana. In primo luogo l’arrivo dei gesuiti che l’Alepus aveva avuto modo di conoscere a Trento. Essi, già presenti dal 1559 a Sassari, nel 1562 vi aprirono con successo le scuole; solo nel 1612 il collegio gesuitico poté conferire gradi accademici, anche se limitatamente alle facoltà di filosofia e teologia; successivamente nel 1617 Filippo III concesse il titolo di università di diritto regio. In secondo luogo i vescovi che governarono la diocesi a cavallo del XVI-XVII sec. attuarono la riforma tridentina attraverso visite pastorali e sinodi. Questi ultimi non interessarono solamente la diocesi di Sassari ma l’intera provincia ecclesiastica. In quel periodo vennero celebrati almeno quattro concili provinciali (1585, 1598, 1606, 1633) convocati rispettivamente da Alfonso de Lorca (1576-1603), Andrea Bacallar (1604-1612), Giacomo Passamar (1622-1643). Con i canoni sinodali vennero resi obbligatori gli incontri periodici tra ecclesiastici di parrocchie vicine, al fine di curare meglio la loro formazione spirituale e dottrinale. Gli sforzi maggiori furono diretti alla cura animarum per trasformare i numerosi vicarii ad nutum in perpetui. Intanto arrivarono in città altri ordini religiosi: i serviti (1540), i cappuccini (1591), i domenicani (1595), i carmelitani (1610), i mercedari (1610), i trinitari (1610), i fatebenefratelli (1639) e infine gli scolopi (1693); i francescani si diffusero anche in alcuni paesi della diocesi: tutti svolsero un ruolo di prim’ordine nell’applicazione della riforma tridentina.

Per l’istruzione religiosa del popolo alcuni vescovi curarono la stampa dei catechismi in lingua sarda. Così Gavino Manca de Cedrelles (1613-1620) pubblicò la versione dall’italiano in sardo logudorese della Dichiarazione del Simbolo apostolico del Bellarmino. A partire dalla seconda metà del XVII sec. durante le visite pastorali gli arcivescovi insistevano perché si svolgesse regolarmente la catechesi parrocchiale, a cominciare dall’istruzione religiosa dei fanciulli. Per favorire l’insegnamento Giuseppe Sicardo (1702-1714) fece comporre e pubblicare un nuovo catechismo sempre in lingua sardo – logudorese. Erano soprattutto le confraternite a incrementare nei soci la frequenza ai sacramenti e le pratiche religiose, ma anche a intervenire a favore dei confratelli in difficoltà e nei confronti di vari problemi sociali. Nella città oltre la confraternita di Santa Croce, presente in tutte le parrocchie della diocesi, si erano diffuse anche quella dell’Orazione, dei Martiri turritani, del Rosario, di Santa Maria d’Itria, di Santa Maria dei Servi, di San Carlo e di San Filippo Neri. I gesuiti nella sola città di Sassari dirigevano cinque congregazioni mariane per gli studenti e per i fedeli più in generale. Le missioni popolari poi contribuirono a risvegliare il senso religioso dei fedeli. La costruzione di nuove chiese e di conventi, dotati di opere d’arte di notevole valore artistico, abbellirono non solo l’ambiente cittadino ma anche quello dei villaggi. Alle confraternite in particolare è da attribuire la diffusione dei gosos, poesie in lingua sarda di indole sia catechetica sia devozionale in onore di Cristo, della Madonna e dei santi o per implorare la loro protezione. In quegli stessi anni si verificarono contese e rivalità tra Sassari e Cagliari oltre che per motivi politici anche per ragioni ecclesiastiche. Gli arcivescovi di entrambe le città intendevano fregiarsi del titolo di “Primate della Sardegna e della Corsica”. Nacque così una gara accesissima, tanto che la questione venne presentata al tribunale della Sacra Rota. La questione andò avanti fino alla metà del XVII sec., talvolta segnata da episodi di intolleranza e da disordini, fino al momento in cui giunsero le decisioni dei tribunali romani, che però si limitarono a riconoscere la sede di Cagliari come la più antica della Sardegna, lasciando impregiudicata la questione del primato. In età sabauda (1720-1847) il clero si mostra in un primo momento insofferente verso la nuova amministrazione, specialmente a causa del rigido giurisdizionalismo dei sovrani piemontesi. Verso la metà del secolo i rapporti diventarono più distesi, specialmente in seguito alle riforme boginiane (1759-1773). Anche a Sassari si riscontrano vivaci segni di ripresa nella vita religiosa. L’arcivescovo piemontese Matteo Bertollinis, prima vescovo di Alghero dal 1733, e poi di Sassari dal 1741, fu uno strenuo propugnatore della pratica degli esercizi spirituali per il clero diocesano, pratica che in poco tempo venne estesa a tutti coloro che si preparavano gradatamente al presbiterato. Inoltre prese a cuore le sorti del seminario di Sassari, fondato alla fine del XVI sec. dal De Lorca, assicurandogli una base finanziaria solida e aggiornando i metodi di insegnamento e la preparazione dei futuri sacerdoti. Si dedicò a eliminare alcuni abusi radicati in mezzo al popolo, particolarmente l’usanza delle prefiche. Anche i successori Carlo Francesco Casanova (1751-1763) e Giulio Cesare Viancini (1763-1772) intervennero per inculcare l’obbligo del riposo festivo ed eliminare superstizioni e abusi dalle pratiche religiose. Del Viancini rimane un regolamento dato al seminario, ispirato alle disposizioni di san Carlo Borromeo, e un testo a stampa della dottrina cristiana scritto in dialetto sassarese.

Fonte: G. Zichi, “Sassari”, in L. Mezzadri – M. Tagliaferri – E. Guerriero (diretto da), Le Diocesi d’Italia (vol. III), San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, 1153-1159.

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